Voile à l’école, il n’est pas interdit d’interdire
Pubblicato il 23/05/2024La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha confermato ancora una volta che non è vietato vietare di indossare simboli religiosi vistosi nelle scuole.
Il 9 aprile di quest'anno, la Corte si è pronunciata su un ricorso presentato da tre ragazze (o dai loro rappresentanti legali) che contestavano una circolare della Comunità fiamminga che vietava di indossare simboli religiosi nelle scuole da essa organizzate. (Ricorso n. 50681/20 Mikyas e altri c. Belgio)
Questo testo era stato contestato dai ricorrenti davanti ai tribunali belgi, che avevano portato il caso davanti al Tribunale di primo grado di Tongeren. Il 23 febbraio 2018, il Tribunale di Tongeren ha stabilito che il divieto in questione era incompatibile con l'articolo 9 della Convenzione. Ha ritenuto che la disposizione in questione fosse stata introdotta esclusivamente per motivi di politica generale relativi all'educazione della comunità e che non vi fosse alcuna ragione concreta o situazione problematica negli istituti interessati per giustificare l'attuazione di un tale divieto generale. La Corte ha dichiarato il divieto inapplicabile ai ricorrenti. L'autorità educativa della Comunità fiamminga, GO, ha presentato ricorso contro questa decisione e il 23 dicembre 2019 ha ottenuto una sentenza a suo favore. A seguito di questa decisione, i ricorrenti hanno presentato ricorso alla CEDU.
Quali lezioni possiamo trarre da questo caso?
1° La Corte ritiene che la decisione fiamminga sia attentamente motivata e che il divieto sia volto a proteggere alcuni alunni dalle pressioni che altri potrebbero esercitare, come sottolineato in uno dei considerando della decisione del Consiglio dell'istruzione del GO:
Che il diritto alla libertà di religione è compromesso quando l'indossare determinati simboli religiosi viene presentato come un obbligo, creando così una discriminazione tra coloro che - seguaci o meno della religione in questione - indossano tali simboli e coloro che non lo fanno, essendo i membri di quest'ultimo gruppo ritenuti inferiori da quelli del primo gruppo, che impongono loro pressioni inaccettabili al fine di farli indossare comunque un simbolo religioso, mentre uno dei principi fondamentali del progetto educativo GO! consiste proprio nell'accettare l'uguale valore di tutti.
2° La Corte ribadisce la sua giurisprudenza in cui riconosce che i tribunali nazionali hanno un ampio potere discrezionale nel determinare il rapporto tra le credenze religiose e lo Stato. In passato, in diverse occasioni, ha confermato che la libertà religiosa garantita dall'articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo non è assoluta e può, in alcuni casi, essere soggetta a limitazioni,
3° La Corte ha anche respinto le argomentazioni dei terzi intervenuti secondo cui la decisione impugnata impedirebbe alle giovani donne di proseguire normalmente gli studi. Questi terzi si sono basati su argomenti presentati in vari rapporti delle Nazioni Unite, compresi quelli del Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione razziale:
"Il Comitato teme che la decisione dell'Ufficio scolastico autonomo della Comunità fiamminga di vietare l'uso di simboli religiosi in tutte le scuole sotto la sua autorità e la decisione della Comunità francese di lasciare alle singole scuole la facoltà di decidere in merito a tale questione possano aprire la strada ad atti di discriminazione nei confronti dei membri di alcune minoranze etniche".
A questo proposito, la Corte osserva che :
Per quanto riguarda le posizioni degli organi delle Nazioni Unite citate dai terzi intervenienti (si vedano i paragrafi 35 e 36), la Corte osserva che molte di esse hanno una portata molto ampia, in quanto vanno al di là del semplice divieto di indossare simboli di condanna nell'istruzione della Comunità fiamminga. In ogni caso, tali posizioni non potrebbero essere decisive ai fini della valutazione della Corte sulla compatibilità del divieto in questione con la Convenzione, di cui garantisce l'osservanza (cfr. Humpert e altri c. Germania [GC], nn. 59433/18 e altri tre, § 127, 14 dicembre 2023), tanto più che la Corte dispone già di un'ampia giurisprudenza sulla questione in questione (cfr. paragrafi 62-66 supra). In ogni caso, non è stato dimostrato che il divieto in questione sia stato ispirato da una qualsiasi forma di ostilità nei confronti delle persone di fede musulmana.
4° infine, la Corte ha constatato che nel caso in questione il GO e la Comunità fiamminga avevano agito in conformità con la giurisprudenza della Corte e che quindi non vi era stata alcuna violazione dell'articolo 9. Soprattutto, la Corte sottolinea che :
"La Corte ha già stabilito a questo proposito che un divieto di indossare simboli religiosi imposto agli alunni potrebbe rispondere esattamente alla necessità di evitare ogni forma di esclusione e di pressione nel rispetto del pluralismo e della libertà altrui". La Corte ha già stabilito a questo proposito che un divieto di indossare simboli religiosi imposto agli alunni può essere esattamente ciò che è necessario per evitare ogni forma di esclusione e di pressione nel rispetto del pluralismo e della libertà altrui (si vedano, tra le altre autorità, Dogru, sopra citata, §§ 70-72, e Bayrak, sopra citata)".
In conclusione, si spera che questa decisione, come molte altre, rafforzi l'opinione di coloro che vogliono proteggere gli alunni dal proselitismo dei loro compagni. Il divieto di simboli religiosi evidenti (che, come in questo caso, comprendeva il velo, le croci e le kippah) non è islamofobia. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Clinica per la legge sull'uguaglianza dell'ULB, il divieto non discrimina le minoranze etniche. Al contrario, protegge il diritto di alcuni membri di queste stesse minoranze di praticare il libero esame e di rifiutare di essere confinati dalla loro identità. La libertà non è la libertà dei gruppi, soprattutto degli attivisti, ma deve essere sempre la libertà dell'individuo.
Claude Wachtelaer,
Ex presidente